Leggete queste breve racconto tratto da La Bicicletta di Alfredo Oriani ed apprezzatene le parole
sono del 1897 !!
Ho dovuto partir solo.
Insino a mezzogiorno avevo sperato che Orlandi, il mio giovane amico tornato l'altro ieri dalla battaglia , mi avrebbe accompagnato; egli lo desiderava anche più di me, ma secondo il solito questo desiderio tutto pieno di poesia non ha potuto realizzarsi.
Nell'ombra della seconda sala, che il caffettiere dell'Orfeo mantiene fresca per i pochi avventori del meriggio, alcuni, vedendomi in maglia e gambe nude, mi hanno salutato con mordaci ironie: me lo immaginavo; non pertanto qualche cosa ha sussultato in fondo al mio spirito. Sono partito. Le vie della città erano deserte, deserto il lungo e triste borgo che si stende oltre il ponte; nelle molte bettole si beveva già in maniche di camicia bianca, poiché era domenica e festa di non so quale Madonna.
La via Emilia mi è apparsa dinanzi larga, dritta, bianca, polverosa, il sole vi cadeva acciecante, non una bava di vento: silenzio nei campi tutti coperti di sole, giacché le ombre stavano ancora rannicchiate sotto gli alberi. Per la strada, lungo i margini, veniva qualche figura lontana.
Tiro su i calzoni a mezza coscia perché le loro pieghe non strofinino noiosamente la valigia, che riempie il telaio della bicicletta, salto in sella e do il primo colpo di pedale: andrò per Forlì a Santa Sofia, valicherò la doppia giogaia dell'Appennino al Carnaio e a Mandriole, salirò ai conventi della Verna e di Camaldoli, e poi da Poppi a Siena, da Siena a Pisa, da Pisa alla Collina, dalla Collina a Bologna e da Bologna a Faenza. Coprirò così un migliaio di chilometri in dieci o dodici giorni, viaggiando sempre come adesso sotto il sole, in maglia, colle gambe nude e il piccolo berretto rigettato sulla nuca perché i raggi mi battano bene sulla fronte e ne caccino l'ombra fredda, che vi si appiatta dentro da tanti mesi. E’ il primo viaggio vero della mia vita, intrapreso così senz'altro scopo che di viaggiare.
Quante volte ne avevo sognato da giovane!
Allora l'orgoglio mi bruciava negli occhi neri come una fiamma di faro e, alzando la testa dinanzi all'ignoto dell'avvenire, mi sentivo passare sul volto i brividi delle lontane tempeste. Adesso non è più così; l'orgoglio sta ancora dritto, ma quella speranza di vittoria, che inebriava le sue mute e teatrali provocazioni, è caduta.
Uno sparviero o una colomba entrambi feriti: l'uno vigile ancora, cogli artigli stretti sopra un ultimo ramo senza foglie; l'altra appiattata fra le erbe scure, intorno al tronco fulminato della quercia.
Ecco una rondine: mi striscia dinanzi sulla strada così rasente alla polvere che si direbbe vi cerchi qualche cosa...
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